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Gabriele Levy
Gabriele LEVY (Buenos Aires, 1958) vive e lavora a Torino.
Dopo la maturita' conseguita a Torino, ed un servizio di leva prestato nell'arma dei Bersaglieri, Levy lavora per un anno presso un grossista di oro e diamanti, imparando ad osservare la materia pietrosa trasparente al microscopio.
Nel 1980 l'artista si trasferisce in Israele dove lavora prima nel kibbutz Bet Nir con gli artisti Moshe Shek (detto "Juk"), e C. Kalman, producendo manufatti in argilla, cemento e ferro con Shek, mentre impara le tecniche del collage di tessuti da Kalman.
"Preso" anche lì a fare il militare, Levy si ritrova coinvolto in una guerra che non è sua, scrivendo un lungo diario ed alcuni brevi racconti sui bellissimi e strani "incontri ravvicinati" perfettamente pacifici che aveva con il "nemico".
Durante la tragicomica e traumatica guerra del Libano, Levy si diverte a trasformare gli obici vuoti dei cannoni, tagliandoli con la fiamma ossidrica per farne dei portaombrelli, oppure a trasformare vecchi tubi di ferro in portabiciclette.
Nel 1983 e' l'ora della plastica, e Levy lavora come operaio presso una fabbrica dove si iniettano e si estrudono le materie plastiche, occupandosi di stampi e resine, PVC e policarbonato, pressioni e temperature, computers e controllo statistico di processo.
L'idea di una nuova 3D art nasce in quest'epoca, dove apprende l'uso della trasformazione 3D da negativo a positivo tramite gli stampi di colaggio, idea che riprenderà in seguito producendo egli stesso gli stampi delle lettere ebraiche, strumenti che permettono di ridurre il tempo di realizzazione di un'opera di diversi ordini di grandezza.
Levy si diploma come Tecnico delle Materie plastiche presso l'Istituto Rupin, quindi dal 1984 studia al Technion (Israel Institute of Technology), laureandosi infine nel 1988 in Ingegneria Gestionale, dopo il diploma di ingegneria in Computer Sciences.
Per mantenersi durante gli studi fa, nell'ordine, i seguenti mestieri:
l'imbianchino, lo spazzino, il guardiano di notte, l'interprete tecnico, il programmatore in FORTRAN, l'allevatore di carpe, il raccoglitore di mele e agrumi, il barista, il cuoco.
Tornato in Italia, nel 1992 diventa padre per la prima volta.
Franco Angeli pubblica un suo libro sulla Logistica e la gestione dei materiali, ed intanto lo scultore inizia a produrre delle formelle in argilla con in altorilievo una lettera ebraica. Le forme venivano cotte al forno a piu' di mille gradi e poi appese al muro, a ricordo di una lettera dell'alfabeto ebraico.
Negli stessi anni, dopo lo studio degli scritti di Rav Matitiahu Glazerson, scrive un libro sintetico ma affascinante sui segreti delle lettere dell'alfabeto ebraico. In seguito continua a studiare Kabalah, la mistica ebraica, tenendo conferenze sul tema in varie citta' italiane.

Dopo aver prodotto per la sinagoga di Torino la prima frase della Torah, realizza per conto del Museo ebraico di Casale Monferrato, l'intero alfabeto ebraico, corredando ogni singola lettera di una spiegazione sul suo significato. 
Nel 1995 diventa padre per la seconda volta.
Nello stesso anno crea sul web il primo portale ebraico in lingua italiana (www.italya.net), con tanto di mailing listi, forum ed un rudimentale ma divertente social network chiamato la Schola Novissima Leon da Modena.
Collabora nel corso degli anni con artisti e comunicatori quali Emanuele Luzzatti, Aldo Mondino, Tobia Ravà, Ugo Nespolo, Angelica Calò Livnè, Moni Ovadia, Gioele Dix.
Nel 1997, in occasione del Festival della Cultura Ebraica di Venezia, espone all'ingresso del Ghetto decine di lettere fatte in nuovi materiali: vetro e ferro, ghisa e marmo, travertino e cemento.

Dal 2000 ad oggi ha prodotto piu' di tremila lettere ebraiche in stampi di gesso o silicone, realizzando forme ed oggetti ed usando  materiali di riciclo, resine, fosforo, mattoni e microprocessori.
Segue nel 2001 quindi un periodo dei photocollages che raccontano la storia del popolo ebraico, o dei primi tentativi di hidden art e double art, da cui nasce l'opera d'arte vista come un oggetto dinamico con cui lo spettatore puo' interagire spazialmente e temporalmente.

Nei giorni in cui con terrore seguiva da lontano gli autobus che esplodevano quotidianamente per le strade di Gerusalemme, inizia ad usare vernici fosforescenti su mappe e fotocollages, creando così l'arte fosforescente, da vedere al buio.

Dal mastro doratore Claudio Garneri impara ad usare la foglia d'oro e d'argento, la foglia di rame ed i colori metallizzati, realizzando centinaia di piastrelle con cornici metallizzate.
Nel 2003 tiene una serie di lezioni con Ugo Nespolo, incentrate sull'arte come strumento di liberazione, ed espone a Merano in una collettiva dal titolo "Sogno di pace" con Ariela Bohm e Tobia Rava', Hana Silberstein e Barbara Nahmad, esponenti contemporanei dell'arte ebraica in Italia.
In seguito realizza alcune opere per il nuovissimo Museo Ebraico di Pisa.
Nell'estate del 2004 lavora alla realizzazione della propria sala d'arte, dove, in un ambiente dedicato al deserto, espone opere proprie e di altri artisti.
Durante il suo eclettico percorso di artista, concentrato sui significati nascosti delle lettere dell'alfabeto ebraico, Levy vede, nella parte posteriore l'opera, un tipo di arte che definisce "arte nascosta".
Praticamente, mentre nei musei sulle opere c'e' scritto "Non toccare", sulle sue opere questo artista propone allo spettatore di toccare l'oggetto alzandolo, o ruotandolo per vedere che cosa c'e' dall'altra parte.
Questo porta lo spettatore attento a provare ad alzare e girare l'opera.
Mentre egli fa questo, passa del Tempo.
E così alla scultura - tridimensionale per definizione - viene aggiunta la quarta dimensione - il tempo che passa mentre si gira l'opera.
Continuando nel suo percorso di ricerca di una reale cornice alle migliaia di lettere ebraiche che ha sparso su questo pianeta, Levy nel 2008 scopre un nuovo paradigma artistico: l'arte modulare.
Nell'arte modulare l'artista produce dei pannelli grandi, che portano al centro un gancio a "L". Questo pannello si chiama il "Modulo 0". Sul gancio si possono appendere degli oggetti più piccoli, "personalizzando" così l'opera. Questi ultimi si chiamano il "Modulo 1".
Di fronte ai pannelli vengono appese delle piastrelle colorate o lavorate.
Nell'ultima mostra la parete a sinistra era piena di Moduli 0, mentre la parete a destra era piena di Moduli 1. L'artista proponeva agli spettatori di scegliere da una parete un Modulo 1 da adattare appendendolo al gancio presente sul Modulo 0. Gli ospiti della mostra hanno passato una serata intera a scegliere gli "accoppiamenti", le varie combinazioni sono state fotografate e caricate su Youtube e Facebook. La discussione sulle opere ha avuto quindi seguito anche sul web, dove le interpretazioni e le spiegazioni sull'oggetto diventano da un lato multiple, e dall'altro indipendenti dalla critica artistica dei grandi network mediatici tradizionali.
Le opere di Levy si trovano esposte in collezioni pubbliche e private, in Italia, Argentina, Danimarca, Spagna, Stati Uniti, Svizzera ed Israele.
 
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